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Le icone simbolo della lotta contro la violenza sulle donne

Donne, uomini, enti, convenzioni, strutture: la lotta contro la violenza sulle donne ha molte facce e molti protagonisti. Alcuni dei quali hanno mosso i loro passi prima che fosse addirittura coniato il termine femminicidio. Qui tutto quello che c’è da sapere su di loro.

Diversamente da quanto si possa pensare, il tema della violenza di genere non è un argomento recente. È infatti errato pensare che i crimini violenti contro le donne siano storia nuova, anzi. Il fatto che il reato di femminicidio non avesse un nome in passato ha solo fatto in modo di creare un’ampia fetta di “sommerso”, nascondendo fra omicidi passionali e aggressioni, ciò che oggi è invece considerata una lesione dei diritti umani a tutti gli effetti.

Ma per arrivare a questo risultato ne è passata di acqua sotto ai ponti e, ahinoi, anche piuttosto lentamente. Il contributo alla causa della lotta contro la violenza sulle donne non ha, infatti, radici giovani. Si tratta di un vero e proprio percorso a tappe che ha visto molti protagonisti e soggetti diversi schierarsi a favore di una maggiore tutela del genere femminile e dei suoi diritti. Qui le icone simbolo di questo processo che tuttavia non è ancora giunto alla fine.

Franca Viola

[img src=”https://media.pinkblog.it/4/4e2/franca-viola-620×350.jpg” alt=”franca viola” height=”350″ title=”franca viola” class=”alignleft size-thumb_620x350 wp-image-187991″]

È in assoluto il primo esempio italiano di emancipazione dal giogo maschile. Franca, una ragazza sicula di soli 17 anni, era stata promessa in sposa a Filippo Melodia, ragazzo benestante e nipote di un mafioso locale. A seguito di un furto e del conseguente arresto del ragazzo, il padre di Franca ruppe il fidanzamento e questo portò ad intimidazioni alla famiglia Viola e al rapimento della ragazza che fu violentata e segregata per una settimana dal Melodia e da alcuni complici.

Al tempo era consuetudine che una ragazza nelle condizioni di Franca, non più vergine, fosse indotta al cosiddetto matrimonio riparatore, un’usanza che permetteva di “lavare” il disonore agli occhi della comunità. Il coraggio di Franca fu esemplare e servì di esempio a molte altre donne: denunciò i suoi aggressori che furono incarcerati a Modena per anni e divenne un simbolo di libertà e dignità, dando voce ad un problema che fino ad allora era taciuto e accettato persino dall’articolo 544 del codice penale, poi abrogato.

Foto | Coin

Marcela Lagarde

[img src=”https://media.pinkblog.it/e/e9d/538262_464407003576139_1243672682_n.jpg” alt=”” height=”360″ title=”Marcela_Lagarde_donne” class=”alignleft size-blogomedium wp-image-187879″]

Se ci chiediamo a chi dobbiamo attribuire il conio del termine femminicidio, è proprio Marcela Lagarde la persona a cui dobbiamo dire grazie. Marcela è una politica e donna di cultura di origini messicane. In gioventù ha aderito ai movimenti sessantottini sposando anche la causa del femminismo come ragione della sua esistenza.

Femminicidio è un termine che fu usato per la prima volta nel 1992 dalla criminologa inglese Diana Russell all’interno di un libro che trattava proprio la furia omicida di un uomo contro una donna “perché donna”. La Lagarde mutuò il lessema un anno più tardi per attribuirgli il significato che oggi conosciamo tutti. Lo fece per identificare la triste serie di uccisioni di ragazze messicane a Ciudad Juàrez. A seguito dell’Indagine Conoscitiva sulla Violenza sulle Donne nella Repubblica Messicana da lei diretta si è scoperto che il femminicidio era una realtà più diffusa del previsto.

È grazie alle pressioni di Marcela se già nel 2007 il Messico ha visto l’inserimento del crimine di femminicidio nel Codice Penale Federale.

Foto | Facebook – Marcela Lagarde y de los Rìos

Franca Rame

[img src=”https://media.pinkblog.it/6/689/Franca_Rame_photo.jpg” alt=”” height=”360″ title=”Franca_Rame_donne” class=”alignleft size-blogomedium wp-image-188071″]

Artista di grande talento, donna dalle mille risorse e femminista convinta. Franca Rame, uno dei personaggi contemporanei che più fa sentire la sua mancanza da quando non c’è più, ha dedicato la sua vita alla drammaturgia ma anche all’attivismo in difesa dei diritti violati delle donne. Già in gioventù ebbe l’ardore e l’ardire di mettere in scena commedie di denuncia sociale che raccontavano la vita delle donne durante i rivoluzionari anni ’70, fatti di conquiste ma anche di scomodi cambiamenti.

Vittima di sequestro e stupro nel 1973, Franca elabora il suo lutto personale producendo una delle opere di drammaturgia più vere e feroci che raccontano e denunciano la vicenda. L’esperienza che così tanto l’aveva segnata le dà anche la spinta per dedicarsi alle donne, sostenendo economicamente e con la sua presenza i centri antiviolenza italiani. È anche grazie a lei se in Italia c’è una grande coscienza collettiva sul tema femminicidio.

Foto | Facebook – Franca Rame

Debbie Allen e Eve Ensler

[img src=”https://media.pinkblog.it/8/857/One_Billion_rising.jpg” alt=”” height=”389″ title=”One_billion_Rising” class=”aligncenter size-blogoextralarge wp-image-187891″]

Debbie Allen e Eve Ensler, anche se i loro nomi possono essere più fumosi e meno noti dei precedenti, sono in realtà da tenere a mente, in quanto corrispondono alle madri del meraviglioso One Billion Rising, il flash mob danzante contro la violenza sulle donne che ha infiammato le piazze di mezzo mondo lo scorso febbraio.

Alla prima, in particolare, va attribuita la coreografia (divenuta poi virale) dell’evento. Ed è significativo ricordare che questa donna negli anni ’80 ricopriva il ruolo della bella professoressa di ballo della serie americana Saranno Famosi. Il suo personaggio era noto per pretendere molto dai suoi allievi, in quanto solo fatica e sudore potevano portare al successo. Tema che si riallaccia al flash mob e che diventa metafora delle faticose conquiste femminili per i propri diritti.

Eve Ensler è invece la penna che ha stilato i celebri Monologhi della Vagina e la donna che più di tutte ha pressato per un sonoro riconoscimento dei diritti delle donne a vivere la propria vita liberamente, fuori dal gioco maschile e dalle minacce di violenza. La tempra di Eve affonda in tristi eventi che l’hanno colpita da bambina, quando sua madre taceva e non la difendeva dagli abusi del padre. Crescendo la Ensler ha messo la sua esperienza a servizio delle cause femministe, fra cui quella della denuncia del femminicidio.

La Convenzione di Istanbul

[img src=”https://media.pinkblog.it/d/d4b/Convenzione_di_istanbul.jpg” alt=”” height=”389″ title=”Convenzione_violenza_donne” class=”aligncenter size-blogoextralarge wp-image-187893″]

Oltre alle persone che hanno contribuito alla lotta contro la violenza di genere, ci sono anche le istituzioni illuminate che hanno portato alla stesura della Convenzione di Istanbul, un mezzo di legislazione sovranazionale che garantisce maggiori tutele alle donne. Tale Carta, ratificata ad oggi da Turchia, Albania, Portogallo, Montenegro, Italia e Austria, è un importante strumento di tutela della donna dal rischio di impunità per l’uomo che le reca offesa fisica e/o psicologica.

Il reato di violenza di genere è finalmente visto come discriminazione e violazione dei diritti umani, rimandando agli Stati aderenti l’esercizio delle misure per prevenire gli atti illeciti, proteggere le vittime e perseguire i colpevoli. Gli Stati sono inoltre in obbligo di inserire alcune fattispecie, dove non presenti, nei propri codici penali, al fine di avere un quadro più chiaro dei reati.

Nello specifico si parla di: violenza psicologica (articolo 33), atti persecutori e stalking (art.34), violenza fisica (art.35), violenza sessuale e lo stupro (Art.36), matrimonio forzato (art. 37), mutilazioni genitali femminili (Art.38), aborto e sterilizzazione forzati (Art.39), molestie sessuali (articolo 40).

I mass media

[img src=”https://media.pinkblog.it/2/240/Massmedia.jpg” alt=”” height=”390″ title=”Massmedia_violenza_donne” class=”aligncenter size-blogoextralarge wp-image-187899″]

Nel loro piccolo anche i lavoratori nel campo dell’editoria e dei mass media contribuiscono a rendere noti i casi di cronaca e a far circolare le informazioni fra chi li segue. Questo ha un duplice valore al fine della lotta contro la violenza sulle donne: in prima battuta si mette al corrente la popolazione sulla questione, facendo arrivare notizie tramite tv, giornali, radio e internet. In secondo luogo si creano pressioni sulle alte sfere, affinché si faccia qualcosa per risolvere il problema.

I media, spesso demonizzati per la tendenza a scovare la notizia mettendo da parte un po’ l’etica, in verità sono dei manifesti viventi di ciò che interessa alla gente. E ciò che interessa alla gente, per definizione, entra nelle agende politiche delle istituzioni che si attivano per dare un servizio o risolvere un problema. Il tutto detto in parole spicce e in modo molto semplicistico, ma anche in modo reale.

I centri antiviolenza cittadini

[img src=”https://media.pinkblog.it/8/8f4/Centri_antiviolenza_donne.jpg” alt=”” height=”366″ title=”Violenza_centri_donne” class=”aligncenter size-blogoextralarge wp-image-187901″]

Sono sparsi nel mondo su tutto il territorio e garantiscono sostegno, anonimato e aiuto alle donne vittime di violenza. Dove non arriva la grande mano delle istituzioni pubbliche, di certo c’è quella più piccola ma molto amorevole dei volontari che operano nelle ONLUS.

In questi centri viene dato supporto e accoglienza alla donna vittima che ne faccia richiesta e ai propri figli. Dagli anni ’90 in Italia questi spazi garantiscono sostegno psicologico, consulenza legale e indirizzamento in gruppi di sostegno. Inoltre sono un archivio prezioso di raccolta dati sui casi di femminicidio e violenza di genere, argomentando i reati sulla base delle esperienze delle utenti.

Fra le attività dei centri antiviolenza ricordiamo anche i corsi di formazione per i volontari e le iniziative di sensibilizzazione e prevenzione attivate su rete locale e nazionale.



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