Arte e cultura
Gli autoritratti di Rembrandt, un capitolo di mistero nella storia dell’arte
Nel giorno del 407° anniversario della nascita del grande Rembrandt ripercorriamo insieme un’intensa esistenza artistica da un punto di vista esclusivo, quello di una ricca autobiografia per dipinti lasciata ai posteri dal pennello di uno dei più importanti artisti fiamminghi.

Dopo aver scoperto il doodle di Google di oggi in omaggio al grande Rembrandt, pittore maestro nell’arte del ritratto e vate assoluto di tutta una scuola di pittori risalenti al periodo dell’età d’oro olandese, ripercorriamo ora insieme la storia di uno dei più importanti artisti olandesi proprio grazie alla fitta produzione di autoritratti lasciata ai posteri.
Mentore per un’intera generazione di artisti, Rembrandt inizia a praticare l’arte del chiaroscuro alla scuola di Utrecht con il maestro Lastman; è qui che apprende ad affinare la tecnica, sfruttando l’eredità pittorica lasciata da un altro maestro indiscusso di tutti i tempi, il Caravaggio.
Scritto nel registro della miglior storia artistica umana per i suoi impeccabili ritratti, densi di tensione e variopinti di infinite sfumature grazie all’ineguagliabile capacità di plasmare su tela il gioco delle ombre, della vita e della morte; il personale excursus artistico del profeta della civiltà vanta ben più di novanta autoritratti su diversi supporti artistici, frammenti del quotidiano che lo ritraggono in diverse età della sua esistenza. Una caratteristica stilistica che diventa ben presto peculiarità d’artista.
Gli autoritratti di Rembrandt, fotografie dell’io?
Gli autoritratti di Rembrandt hanno un comune denominatore. Lo sguardo acuto, penetrante, diretto. Una fotografia immobile di un uomo ambizioso con un obiettivo: superare chi prima di lui era stato il migliore. E negli anni, passo dopo passo e sfida dopo sfida, Rembrandt perfeziona una tecnica che lascerà un’impronta perenne nella storia dell’arte. Cromaticità e uso sapiente della luce. E un punto di forza che sfugge alle leggi tecniche della pittura, ovvero la capacità di imprigionare l’essenza della personalità nella tela, quel bagliore unico che accende di vita il ritratto. Lo possiamo notare anche quando Rembrandt affronta la lotta più ardua per un artista: immortalare se stesso.
Una sfida che nel caso di Rembrandt diventa quasi ossessione. Nelle decadi vengono lentamente scoperti un numero importante di autoritratti d’artista. La cifra esatta non è ancora definitiva ed è ancora oggetto di contesa, ma si parla di una cinquantina di dipinti, circa trentadue acqueforti, e sette disegni. Una produzione autoritrattistica unica che apre un affascinante -e irrisolto- capitolo di mistero nella storia dell’arte.
La maggior parte degli addetti al settore ha cercato di capire e interpretare in vari scritti e studi di settore questa peculiare mania di dipingere se stesso, più e più volte, come una sorta di diario segreto personale dell’artista; immagini in pillole della vita di Rembrandt dove rinchiusi nell’eterno si scorgono paure e gioie, fragilità e forze. Un esercizio psicologico di riflessione intima durato quasi quarant’anni. In un libro 1961, lo storico dell’arte Manuel Gasser scrive:
Nel corso degli anni, gli autoritratti di Rembrandt diventano sempre più un mezzo per acquisire la conoscenza di sé, e alla fine prendono la forma di dialogo interiore: un uomo vecchio e solo che affronta la comunicazione con il sè nel momento aulico della pittura.
Mentre in una delle più influenti monografie sull’artista, Jacob Rosenberg approfondisce l’incessante e spietata osservazione dell’io che Rembrandt opera su stesso notando negli anni un cambiamento graduale, dalla mera descrizione dell’apparenza esteriore alla più penetrante fase di autoanalisi interiore fino alla fase finale: un’impotente e silenziosa contemplazione. Voleva forse Rembrandt autodipingendosi esorcizzare lo scorrere impietoso del tempo? Penetrare l’immortalità della vita interiore dell’uomo, scoprendone i segreti cupi dell’io più profondo?
I più recenti studi alzano i riflettori sui primi autoritratti di Rembrandt, che altro non si sono rivelati abili esercizi di pittura e studi approfonditi sull’espressività facciale umana. La nota più interessante però arriva sicuramente dallo storico dell’arte Ernst van de Wetering che riaccende la questione dell’autoanalisi. Per lo studioso è impossibile inquadrare sotto la luce della pittura come riparazione (vd anche Scrittura come riparazione, saggi su letteratura e psicoanalisi; Stefano Ferrari, Laterza Bari-Roma, 2003) la ricerca artistica tramite autoritratto di Rembrandt; secondo lo storico dell’arte infatti, l’idea di sé come io indipendente che vive e crea esclusivamente dall’interno non era concepibile all’epoca perchè compresa e scoperta solo in età romantica, dopo il 1800. L’x-file artistico resta quindi ben più che aperto.
La produzione artistica di Rembrandt si può dividere in quattro fasi, il primo periodo degli studi dei Carracci e del Caravaggio, gli anni di Amsterdam ( Autoritratto con Saskia, 1634); il secondo periodo di Amsterdam e il terzo periodo di Amsterdam, con la più prolifica serie di autoritratti. Il cammino alla riscoperta di una particolare cifra stilistica che prenderà poi vita per forma propria -lasciando alle spalle gli insegnamenti del Caravaggio- si accompagna ad un progressivo allontanamento dal convenzionale e dalla forma pittorica classica, che come spesso è successo in passato alle personalità geniali dell’arte, si accompagna alla miseria economica dovuta al freddo distacco e all’oziosa abitudine dei gusti stereotipati di un’intera generazione. L’artista fiammingo muore ad Amsterdam nel 1669 solo, e quasi del tutto sul lastrico.
Via | Rembrandt Painting
