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Riflessioni sul 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne

La violenza di genere è una piaga sociale che non risparmia alcuna nazione. Ecco perché si è scelto di mantenere viva la memoria del problema istituendo una giornata mondiale contro ogni forma di violenza sulle donne. Per non dimenticare quanto ancora c’è da fare per invertire la rotta.

Si sente sempre più spesso raccontare di padri, mariti, fratelli, compagni-padroni violenti che maltrattano le proprie donne spacciando il loro modo di fare per amore, apprensione e talvolta anche obbligo morale. Così, per raddrizzare temperamenti troppo esuberanti che proprio non vanno bene. E in molti, nonostante i tempi moderni, credono che ancora sia un giusto operato. Perché si, anche se gli anni passano, è difficile scrollarsi dalle spalle la figura dell’uomo che ha potere di vita o di morte sulle donne di casa.

Da un po’ di tempo c’è un lessema nuovo nei nostri vocabolari ed è femminicidio, per cui è stata istituita la Giornata mondiale di lotta per la soppressione della violenza sulle donne. Prima della sua introduzione, quando cioè il vaso di Pandora degli omicidi di donne da parte di uomini era un recipiente ben spalancato ma innominato, il titolo della colpa imputata al mostro che commetteva il fatto era l’omicidio generico. Spesso e volentieri accompagnato da attenuanti emotive e passionali, in grado di ridurre la pena e di dare un calcio in bocca alla giustizia.

Oggi, grazie anche e soprattutto alla nascita della Convenzione di Instanbul, sulla violenza di genere c’è un po’ più di chiarezza. Leggendo gli 81 punti del trattato, che tuttavia attende ancora una ratifica più ampia per diventare giuridicamente vincolante per gli Stati firmatari, si evince un notevole passo in avanti: il femminicidio e più in generale la violenza di genere diventano violazioni dei diritti umani, oltre che una forma di discriminazione.

I dati, ora che si può dare un nome preciso a questo tipo di reato, sono impietosi e allarmanti. L’Istat ha stimato che solo in Italia quasi 7 milioni di donne fra i 16 e i 70 anni sono state vittime di abusi fisici, di cui un milione ha subito stupri o tentati stupri. Più del 14% delle donne italiane ha subito violenze domestiche ma meno della metà ha denunciato il partner. In ultimo, il dato più amaro: nel nostro Paese una donna viene uccisa ogni due giorni e mezzo.

Il nostro orecchio, a dirla proprio tutta, non è ancora troppo allenato a dare il giusto peso a molte notizie di cronaca al femminile che passano i Tg. E parte della colpa è da attribuire a quelle levate di scudi cretine da parte di chi punta il dito contro le vittime più che contro i colpevoli. Perché si, gli orli di gonna e le scarpe alte ancora forniscono una mezza giustificazione per molti atti feroci e misogini.

Così si finisce per restare impietriti dinanzi ai numeri sempre più alti di donne sfregiate, picchiate, molestate, offese e minacciate, ma si fa ancora fatica a mettersi in difesa della ragazza della porta accanto che mette una scollatura profonda per il suo lavoro di barista in discoteca. Anzi, se qualcosa le accade viene comodo pensare che se la sia andata a cercare.

Bisogna dire che il primo passo per contribuire alla lotta contro la violenza di genere, che trova nel 25 novembre la sua giornata, è spingere per un cambio repentino di modo di pensare della gente. Prendiamo quindi parte alle bellissime iniziative che in Italia e nel mondo vedono protagoniste le donne nelle loro realtà locali, ma facciamo anche in modo di non scordarci di noi stesse dal 26 in poi.

Che sia partecipando alla manifestazione capitolina sotto il Campidoglio illuminato di rosso o aderendo allo sciopero di protesta simbolica, coordinato dalle principali sigle sindacali nelle varie città, teniamoci la mano e lasciamo in tasca i pregiudizi. Il nemico più grande in questa battaglia non possono essere i cliché e le cattive opinioni. Schieriamoci dalla parte di noi stesse. Sempre e senza riserve.



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