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Arte e cultura

Quando la donna diventa un simbolo, fra immaginario collettivo e stereotipo

Fanno la storia e nel bene o nel male entrano negli annali per imprese degne di nota. Sono donne simbolo: forti, aggressive, dissolute ma anche fragili. E talvolta si trasformano anche in stereotipo

Donne importanti, donne famose, donne della porta accanto e anche donne stereotipate, figlie del loro tempo bollate in una categoria che le imprigiona senza possibilità di replica. Ma cosa significa realmente quando una donna si trasforma in simbolo di qualcosa di affine o totalmente alieno alla sua natura?

Il genere femminile è rappresentato degnamente dall’icona del cerchio con il più sottostante, metafora visuale di una diretta discendenza da Afrodite (il logo è infatti una stilizzazione della mano di Venere, dea dell’amore romantico e passionale che sono alla base della vita umana).

Da quando esiste un’iconografia, teistica e non, si può quindi dire che la tendenza a simbolizzare la donna e tutta la sua stirpe, è stato un percorso automatico e quasi obbligato. Questo ha portato a creare delle categorie e ad inserire idealmente ciascuna donna in gruppi ben precisi che la identificano (es. mamma, mangiauomini, sportiva, lavoratrice, ect…).

Così la figura della casalinga di Voghera è diventata simbolo della pulzella semplice e con una particolare attenzione per le cose pratiche che le semplificano la vita quotidiana. E allo stesso modo Messalina è diventato sinonimo di dissoluzione morale, nome divenuto attributo per le donne dai costumi etici leggeri e dalla mente anche un po’ diabolica.

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Questo tipo di “catalogazione” è in realtà propria della natura umana. Ma, vuoi perché il gentil sesso è “dolcemente complicato” come diceva la Mannoia, vuoi perché storia vuole che dal ruolo di angelo del focolare abbiamo all’occorrenza anche ricoperto quello di locandiera, operaia e astronauta, per il genere femminile il discorso delle classificazioni e dei relativi simbolismi è ancora più presente che per quello maschile.

Non stupisce quindi che ogni epoca abbia anche avuto il suo ideale di bellezza femminile (cosa presente ma decisamente meno evidente che per gli uomini), le sue eroine e le sue figure di spicco. Tutti simboli di un contesto storico preciso e riconoscibili universalmente.

Se dal cilindro delle donne note dovessimo tirare fuori ad esempio Emmeline Punkhurst, sarebbe da tutti facilmente associabile al movimento delle Suffragette e di conseguenza alla lotta per la parità dei diritti. Così come, per altra tipologia, si saprebbe dare un volto alla figura della pin-up, che nell’immaginario collettivo ha il viso languido e le forme generose di una Bettie Page o di una Marilyn Monroe.

La facilità al simbolismo ha, come spesso accade, una sua parte “alta” e una più dozzinale, per così dire. Se infatti le grandi donne che hanno fatto la storia e che si sono battute per idealismo e miglioramento della vita delle persone rappresentano la parte buona e desiderabile del simbolo, di contro ogni figura dai tratti meno positivi si trasforma puntualmente in simbolo negativo o stereotipo.

La differenza fra le due accezioni è principalmente di carattere dinamico, in quanto alla prima categoria facciamo appartenere persone che nel bene o nel male si sono in qualche modo sporcate le mani per ottenere qualcosa, mentre nella seconda normalmente alloggiano non persone ma figure, le quali ricalcano passivamente alcuni tratti caratteristici del proprio “gregge”.

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Foto | da Flickr di franklin_hunting

Tornando alla cara Messalina, facilmente accettabile come simbolo negativo (anche se non universalmente, visto che è una figura che per alcuni esercita un fascino perverso), l’evidenza è che simbolo ci è diventata per via delle sue azioni. La conseguenza di queste ultime hanno fatto si che fosse identificata a posteriori non solo come antonomasia di una tipologia di donne dello stesso tipo, ma anche come modello di cattiveria, astuzia e lussuria.

Lo stereotipo di Messalina potrebbe in questo caso essere una serie di persone che tradiscono la fiducia del proprio partner per il proprio tornaconto personale e che ci arrivano in quanto ricche, annoiate, potenti e poco rispettose dei sentimenti e della vita degli altri.

I confini fra stereotipo e simbolo sono ovviamente molto labili, in quanto una persona che ricalca uno stereotipo può a sua volta diventare un simbolo. Un esempio: quando Mara Carfagna fu eletta Ministro delle Pari Opportunità del IV Governo Berlusconi, si trasformò da show girl nel classico stereotipo della donna in carriera, con tailleur acconci e capelli corti.

La sua nomina e il suo mandato l’hanno a sua volta resa, nell’immaginario collettivo, simbolo di una concezione anti-meritocratica della politica (a torto o a ragione non sta a noi dirlo, ma ciascuno ovviamente avrà un suo giudizio in merito), che premia le gambe e non la preparazione o la gavetta.

Ne deduciamo che simbolismo in campo femminile non ha quindi epoca o campo d’azione e varia e si arricchisce di nuovi capitoli a seconda del contesto.

Sebbene ci piacerebbe che le donne simbolo di qualcosa fossero solo esempi di positività, forza, determinazione, cultura e innovazione, sappiamo bene che i sentimenti negativi usciti da quel famoso vaso di cui tanto parla la mitologia greca, hanno riempito e riempiranno le pagine di storia e dei giornali anche di simboli negativi.

Ah, tanto per la cronaca, la scellerata che fece uscire i demonietti dal vaso è Pandora, simbolo di quell’istinto che da sempre la letteratura attribuisce a noi donne: la curiosità. Poi sta a ciascuna di noi dare a quest’ultima un’accezione positiva o negativa, variabile che ci rende ottime o pessime a seconda di come la usiamo.

Ma questa è un’altra storia.



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