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Come reagire al mobbing: cosa fare e come difendersi sul posto di lavoro

Il mobbing identifica una serie di trattamenti persecutori e vessatori sul posto di lavoro, ai danni di uno o più soggetti. Anche se tali violenze psicologiche non hanno sesso, sono spesso le donne le vittime più frequenti

Mobbing posto di lavoro donne

Il mobbing è uno dei vari tipi di violenza psicologica, che possono sfociare anche in quella fisica, atti a screditare, umiliare ed emarginare un individuo sul posto di lavoro, talvolta anche sabotando il suo operato e mettendolo in cattiva luce con colleghi e superiori.

Sebbene il mobbing sia una pratica persecutoria che non conosce sesso, è tristemente risaputo che le donne siano spesso le vittime preferite dai mobbers, persone che scientemente decidono di mettere in difficoltà chi è al proprio livello o immediatamente sotto.

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Quindi sapere come reagire al mobbing è essenziale per evitare il proseguire di questi trattamenti svilenti, ma prima di tutto è importante riconoscere questa forma di violenza, al fine di avere tutti gli elementi per affrontare la situazione e procedere anche con una denuncia ai danni del persecutore.

Si è presenza di mobbing quando:

  1. Gli atteggiamenti di violenza psicologica ai danni del lavoratore e della lavoratrice non sono casi isolati, ma anzi frequenti e reiterati in un lasso di tempo non inferiore ai 6 mesi
  2. Il trattamento persecutorio lede la salute e la dignità del lavoratore o della lavoratrice, causando, ad esempio, depressione o istinti autolesionisti
  3. Il trattamento persecutorio ha come fine ultimo la volontà di nuocere al lavoratore o alla lavoratrice, fino a costringere il soggetto alle dimissioni o comunque all’allontanamento dal posto di lavoro

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Il mobbing sul posto di lavoro però ha anche due sottogruppi. Si parla di mobbing verticale o “bossing” quando il mobber è il datore di lavoro o un superiore del soggetto mobbizzato, mentre è mobbing orizzontale quello che vede una serie di attacchi da parte di uno o più colleghi ai danni di un altro soggetto.

Per reagire correttamente al mobbing, è bene anche conoscere i motivi più frequenti per cui un trattamento persecutorio si verifica, soprattutto a danno di noi donne. In generale i mobbers sono associabili ai classici bulli di scuola, con la differenza che sul posto di lavoro è spesso il capo a bullizzare i propri sottoposti.

Una casistica tristemente nota è quando chi detiene il potere in ufficio esercita una serie di pressioni sulle dipendenti per favori di natura intima. Il mobbing diventa sempre più insistente e umiliante, tanto più la vittima resiste alle avance, con conseguente lesione anche della reputazione della stessa sul luogo di lavoro, nonostante le resistenze. Anzi, proprio a causa di queste ultime.

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Ma c’è anche il mobbing orizzontale a creare non pochi problemi alle donne. In questo caso le ragioni che portano le colleghe ad allontanare o sabotare una loro pari è per invidia (il timore che possa crescere professionalmente più in fretta), per scarsa considerazione delle qualità della stessa (“lei non merita di ricoprire quella carica”) o, è brutto dirlo, anche stress.

Chi ha analizzato il fenomeno del mobbing sui posti di lavoro ha infatti visto che più stressante e alienante è il tipo di incarico, più i soggetti sono portati a sfogarsi con i propri pari, scegliendo ovviamente i colleghi più deboli, per cui non hanno stima o che sono appena arrivati.

Cosa fare in caso di mobbing

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Una tutela contro i trattamenti persecutori ci arriva dalla legge e in primis dalla nostra Costituzione, nell’art. 32, 35 e 41. Qui si riconosce, rispettivamente, la tutela alla salute, la tutela del lavoro e il divieto allo svolgimento di attività economica privata “in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

Ma le tutele sono presenti anche nel codice civile, all’art. 2087, dove viene imposto al datore di lavoro l’adozione di tutte le misure per salvaguardare l’integrità fisica e morale dei propri dipendenti. Anche il codice penale può essere tirato in causa a tal proposito e in particolare l’art. 590 che riguarda le lesioni personali colpose, con un massimo di reclusione fino a tre mesi per chi le provoca.

Per reagire al mobbing il dipendente può innanzi tutto licenziarsi per giusta causa, poi citare in giudizio il mobber. Affidarsi ad un legale specializzato in diritto del lavoro è fondamentale per capire come comportarsi, ricordandosi sempre che, non esistendo un vero e proprio reato di mobbing, è essenziale agire nel modo più corretto per vedere tutelati i propri diritti.

È necessario, in ogni caso, esibire in tribunale le prove dei trattamenti persecutori e la loro durata nel tempo. Il giudice valuterà l’importanza del danno subito dalla vittima di mobbing e il risarcimento che è invece tenuto ad erogare chi ha portato avanti i trattamenti persecutori e vessatori ai suoi danni.

Foto | iStock



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